IL TRATTAMENTO DELL’IPERTENSIONE IN MEDICINA ANTIAGING (1a parte)

(Filippo Ongaro)

Introduzione

Le stime più recenti indicano che in Italia il 21% degli uomini e il 24% delle donne sono ipertesi. Questo si traduce in oltre 10 milioni di persone affette questa patologia. La gestione farmacologica della pressione arteriosa è meno efficace di quello che si pensa e numerosi studi hanno dimostrato come una buona parte dei soggetti trattati sia comunque esposta a livelli pressori elevati oltre che agli effetti collaterali dei farmaci assunti. Questi dati considerano valori target 140/90 mmHg anche se oggi è noto che i valori ottimali di pressione, quelli cioè in cui la persona ha una probabilità minore di sviluppare danni cardiocircolatori,  si aggirano invece sui 120/80mmHg. Se prendessimo questi come i livelli sopra i quali considerare una persona ipertesa, l’ipertensione riguarderebbe purtroppo la stragrande maggioranza della popolazione adulta.

Cos’è l’ipertensione

La pressione sanguigna è la misurazione della forza esercitata dal sangue mentre scorre nelle arterie. Una pressione elevata è la conseguenza di un’eccessiva forza sulla parete arteriosa che a lungo andare crea un danno a livello dell’endotelio, il rivestimento interno dei vasi. La forza esercitata dal sangue viene misurata in 2 fasi: quando il cuore si contrae (pressione sistolica o massima) e quando il cuore si rilassa (pressione diastolica o minima). Un aumento della pressione può essere causato da alcune patologie sottostanti tra cui per esempio l’iperaldosteronismo, la sindrome di Cushing o il feocromocitoma. Tuttavia oltre il 90% dei casi di ipertensione è definito essenziale, ossia senza alcuna patologia organica alla base.

Il problema centrale dell’ipertensione è legato al danno che si viene a creare a livello dell’endotelio. Quando lo strato interno del vaso viene danneggiato si crea un ispessimento dell’arteria stessa su cui gradualmente va a formarsi la placca aterosclerotica. Ipertensione e disfunzione endoteliale sono dunque strettamente correlate e portano ad un irrigidimento delle arterie che non sono più in grado di contrarsi e dilatarsi efficacemente. Questa rigidità del sistema porta ad uno stress aggiuntivo sul cuore con possibile ipertrofia ventricolare sinistra e danni a livello di vari organi.

I limiti del trattamento convenzionale dell’ipertensione

Oggi il medico ha a disposizione una lunga serie di farmaci per ridurre la pressione arteriosa. Questi farmaci nella migliore delle ipotesi riducono la pressione ma non aiutano a ripristinarne una corretta regolazione. Cioè la pressione si abbassa per via del farmaco ma il sistema di regolazione della pressione viene in sostanza spento.

TABELLA 1: I farmaci usati nel trattamento dell’ipertensione

CLASSE FARMACO MECCANISMI DI AZIONE ED EFFETTI COLLATERALI
Diuretici tiazidici Agiscono sul rene aumentando l’eliminazione di sodio e acqua attraverso l’urina. Con meno fluidi nel corpo, il volume ematico diminuisce e la pressione scende. Gli effetti collaterali sono impotenza, iperinsulinemia e intolleranza al glucosio, gotta, iperpotassemia, iponatriemia.
Beta bloccanti I beta bloccanti agiscono sui recettori adrenergici beta diminuendo l’azione di adrenalina e noradrenalia, rilassando la muscolatura vascolare, riducendo la frequenza cardiaca e il fabbisogno di ossigeno. Gli effetti collaterali sono iperinsulinemia, intolleranza al glucosio, aumento dei trigliceridi, diminuzione delle HDL, intolleranza all’esercizio, impotenza.
ACE inibitori L’angiostensina viene formata quando il rene riceve un segnale di dover aumentare la pressione. Gli ACE inibitori prevengono o riducono la produzione di angiotensina ed impediscono la sua azione di vasocostrizione. Effetti collaterali sono ipercaliemia, tosse e angioedema.
Angiotensin II receptor blockers (ARBs) Sono simili agli ACE inibitori ma invece di bloccare l’enzima che forma l’angiotensina, bloccano l’effetto dell’angiotensina stessa legandosi a dei recettori specifici (AT1). Gli effetti collaterali includono mal di testa, stordimento, diarrea, sapore metallico.
Calcio antagonisti Agiscono sul trasporto del calcio nelle cellule del cuore e dei vasi provocando un rilassamento vascolare. Non vanno usati in pazienti che hanno avuto un infarto o uno scompenso cardiaco e gli effetti collaterali comprendono stitichezza, gonfiore delle gambe, vampate, mal di testa
Alfa bloccanti Bloccano selettivamente i recettori alfa della muscolatura liscia dei vasi rendendoli insensibili alle catecolamine. Il rischio principale è la perdita di regolazione pressoria ortostatica (quando ci si alza in piedi) e non vanno usati in persone che sono a rischio di insufficienza cardiaca congestizia.

Come si può notare dalla tabella riportata sopra nessuno dei farmaci esistenti interviene migliorando la regolazione pressoria ma al contrario sopprimendola. A volte sono necessari e indispensabili ma che il medico scelga un diuretico, un agente per ridurre la portata cardiaca o per dilatare i vasi non fa una grande differenza in termini fisiopatologici in quanto ciascuno di questi farmaci fa scattare molteplici risposte a cascata creando molti effetti che vanno al di là di quello ricercato.

Alcuni recenti studi hanno messo in evidenza come l’errore centrale di un approccio esclusivamente farmacologico all’ipertensione sia che le variazioni pressorie non sono semplici alterazioni rispetto alla norma ma parametri che si alzano o si abbassano a causa di una rete complessa di segnali regolata dal sistema nervoso centrale in funzione delle necessità che esso prevede l’organismo incontri.

Quindi se un segnale viene semplicemente soppresso da un farmaco, il cervello compenserà attivandone altri. Per esempio quando l’ipertensione viene trattata con un diuretico la risposta compensatoria è l’aumento della frequenza cardiaca e la vaso-costrizione. Questi effetti compensatori costringono il medico ad instaurare terapie multiple che purtroppo però complicano ancora di più il quadro. Bloccare un parametro e i suoi agenti regolatori attraverso un farmaco ha un costo perché rende quella variabile, originariamente flessibile, rigida e completamente insensibile ai bisogni generati dall’ambiente esterno e dall’organismo stesso. Ciò deteriora l’intera capacità di regolazione del corpo. Per esempio i beta-bloccanti provocano intolleranza all’esercizio dovuta a incapacità da parte dell’organismo di aumentare la portata cardiaca quando necessario. Per questi  e molti altri motivi meno del 25% dei casi di ipertensione viene effettivamente tenuto sotto controllo dai farmaci prescritti.

Alcune ricerche condotte qualche anno fa in Scandinavia hanno evidenziato come alla base dell’ipertensione possa esserci un eccesso di insulina. L’insulina oltre a regolare la glicemia è un importante fattore di crescita anche vascolare e favorisce il riassorbimento del sodio a livello renale. Essa ha dunque un potenziale effetto ipertensivo. L’alimentazione moderna ricca di zuccheri e carboidrati raffinati (pane, pasta e riso bianchi, dolci, etc) fa si che sempre più persone abbiano livelli elevati di insulina per un fenomeno detto di resistenza insulinica. In poche parole serve più insulina perché le cellule diventano sempre meno sensibili alla sua azione e questo a lungo andare porta alla sindrome metabolica e al diabete.

L’iperinsulinemia è ancora in gran parte trascurata in medicina e la sua centralità nello sviluppo dell’ipertensione è troppo spesso ignorata nella pratica clinica. Oggi é perfino noto come  il diabete tipo II possa essere una conseguenza stessa della terapia anti-ipertensiva. Infatti l’insorgere dell’ipertensione tende a precedere il manifestarsi del diabete e non venendo riconosciuto il ruolo dell’ insulina nell’insorgenza dell’ipertensione, questa viene trattata per esempio con diuretici tiazidici e beta-bloccanti aumentano il rischio di sviluppare diabete rispettivamente di 4.6 e di 6.1 volte. Coloro che ricevono entrambi i farmaci hanno 11.5 volte più rischio di sviluppare diabete.

È evidente quindi che nonostante  le ricerche pubblicate, continuano ad esserci errori di fondo nella gestione di molte patologie specialistiche che trovano nell’iperinsulinemia la loro base comune.

La gestione dell’ipertensione in medicina antiaging

Patologie complesse e multifattoriali non possono essere adeguatamente trattate con approcci elementari come la somministrazione di un singolo farmaco o di una combinazione di essi. Nella maggior parte delle malattie cronico-degenerative risultati più significativi e duraturi si ottengono con quello che viene definito un approccio multi-modale, con un ventaglio cioè di interventi integrati, che non necessariamente devono escludere il farmaco ma che oltre a quello prevedono esercizio fisico, riduzione dello stress, alimentazione controllata e l’uso medico di integratori naturali e fitoterapici di provata efficacia.

Un approccio multimodale permette al medico di tenere in debita considerazione i fenomeni di adattamento dell’organismo e di adottare una filosofia di intervento che invece di tentare di bloccare la regolazione pressoria rendendola rigida e statica con un farmaco, ne stimoli l’utilizzo e la flessibilità. La pressione arteriosa è controllata da un’interazione complessa di fattori tra cui la dieta, predisposizioni genetiche, risposta allo stress e altro. Per questo motivo regimi che introducano  esercizio fisico, perdita di peso e alimentazione a basso indice glicemico, una dieta con meno sodio e più calcio, potassio e fibra e la cessazione del fumo si sono dimostrati più efficaci degli interventi farmacologici nel mantenere la pressione arteriosa a livelli adeguati.